Se dovessi fare una classifica delle conoscenze in ambito finanziario che più hanno impattato nella mia vita concreta di investitore e di uomo, l’interesse composto (IC) sarebbe senz’altro sul podio, se non al primo posto.
Così come per gli appassionati di alta ristorazione le 3 Stelle Michelin indicano i ristoranti migliori, dove la qualità della cucina è talmente elevata da “valere il viaggio”, così per l’investitore l’interesse composto nel lungo termine è il più grande alleato per far crescere il proprio patrimonio, talmente potente da.. “valere l’attesa”.
Albert Einstein definì il tasso d’interesse composto “l’ottava meraviglia del mondo”. E se lo dice lui.
Immagino che molti di voi già conoscano la definizione di IC, ma per esperienza so che conoscere la definizione spesso non basta a comprenderne appieno le implicazioni reali nel lungo periodo.
È la stessa differenza che passa tra capire ed imparare: si può dire di aver imparato solo quando dalla conoscenza scaturisce un cambiamento duraturo nel proprio comportamento, approccio, o modo di vedere.
Cerchiamo quindi di imparare assieme le più importanti caratteristiche dell’IC che l’investitore può “sfruttare” per la crescita del proprio patrimonio.
Partiamo dalla definizione. In finanza esistono due possibili tipologie di rendimento del capitale: il tasso di capitalizzazione (o tasso d’interesse) semplice (IS), e quello composto (IC).
Il tasso di capitalizzazione (o d’interesse) semplice (IS) è quello generato dall’investimento del solo capitale iniziale, per un certo numero di periodi fruttiferi, di norma espressi in anni.
Ipotizzando un tasso di interesse positivo e costante (ad esempio +5% annuo), l’aumento del capitale nel tempo, detto “montante”, è dato dalla somma di capitale iniziale + interessi, e cresce in modo lineare.
Il tasso di capitalizzazione (o d’interesse) composto (IC) invece prevede che non solo il capitale iniziale, ma anche gli interessi stessi concorrano a generare nuovo interesse. In altre parole, a partire dal secondo anno l’interesse del primo anno si unisce al capitale iniziale per generare nuovo interesse, e così via per gli interessi di tutti gli anni successivi.
Ad esempio, dato lo stesso tasso d’interesse del +5% annuo, ma stavolta in capitalizzazione composta (IC), il montante complessivo cresce in modo esponenziale, anziché lineare. E questo “dettaglio” fa una enorme differenza, nel lungo periodo.
Facciamo un semplice esempio, per fissare le idee.
Ipotizziamo di investire un capitale iniziale di 100.000 €, al tasso di interesse annuo del 5%, prima semplice e poi composto, e vediamo le differenze di montante maturato nel tempo:
Come si vede, nei primi anni il vantaggio dell’IC vs IS è assai modesto (solo +2,1% dopo 5 anni), ma nel lungo periodo tale vantaggio diventa… enorme (+135% dopo 40 anni)!
Bene, anzi benissimo. E quali sono gli strumenti finanziari investibili che applicano al meglio la “magia” dell’interesse composto?
Ebbene, sono tutti quegli strumenti cosiddetti “ad accumulazione”, nei quali cioè anche le cedole (se obbligazionari) od i dividendi (se azionari) vengono automaticamente reinvestiti, anziché venir versati periodicamente all’investitore, e concorrono quindi ad aumentare il montante.
E quali sono invece gli strumenti finanziari che NON permettono di applicare al meglio l’interesse composto? Anzitutto, gli strumenti cosiddetti “a distribuzione”, nei quali cioè le cedole e/o i dividendi vengono periodicamente erogati all’investitore, sono senz’altro meno efficaci per l’IC.
Ma vi sono anche strumenti che – sotto certe condizioni - proprio non lo applicano per nulla! Ad esempio, le obbligazioni con cedola (tipo i Titoli di Stato BTP) se acquistate all’emissione e detenute fino alla scadenza.
Investendo in tali obbligazioni si ottiene una cedola periodica, ci si “immunizza” dalle fluttuazioni di prezzo, ma si rinuncia all’enorme potenziale di crescita del montante generato nel lungo periodo dall’interesse composto!
Attenzione però! Anche investendo in strumenti ad accumulazione, vi sono due “fattori antagonisti” in grado di ridurre fortemente il grande potenziale positivo dell’IC. Quali sono?
Il primo “fattore antagonista” l’abbiamo già menzionato prima: si chiama “fretta di vendere”! L’ IC infatti richiede molto tempo e molta pazienza per esprimere appieno il suo enorme potenziale di crescita, quindi occorre resistere alla tentazione di vendere anzitempo l’investimento, anche se in guadagno!
Il secondo “fattore antagonista” è molto più subdolo, ma altrettanto “letale” per l’IC: la riduzione del tasso di rendimento effettivo degli strumenti finanziari, dovuta all’applicazione di elevati costi di gestione. Dove per elevati s’intendono costi superiori all’1,5% annuo sul capitale investito.
Gli strumenti finanziari più efficienti sotto il profilo dei costi (gli ETF passivi) hanno commissioni di gestione bassissime, nell’ordine dello 0,3% annuo.
Al contrario, la maggior parte dei fondi di investimento attivi superano spesso il 2% annuo di commissioni, ed i prodotti di investimento assicurativi (polizze Index o Unit Linked) arrivano addirittura oltre il 3%!
Ma perché questi costi incidono pesantemente sull’IC? Per un semplice motivo: nell’IC, la “rampa” di crescita del montante è molto sensibile al tasso di interesse effettivo realizzato dall’investimento.
Se tale tasso è basso (diciamo < 3%), la rampa di salita del montante “si appiattisce” moltissimo, impiegando tempi talmente lunghi per cominciare ad “irripidirsi” da non essere più COMPATIBILI con la durata della vita umana!
Ad esempio, la differenza di montante maturato con un IC medio del +5% annuo vs un IC medio del +2% annuo (per via del 3% di rendimento annuo sottratto dai costi di gestione) è assai significativa già dopo i primi 10 anni, e diventa letteralmente “abissale” dopo 30 o più anni.
Il grafico qui allegato chiarisce meglio di mille spiegazioni come e quanto deteriora l’IC questo fattore “antagonista”: basti pensare che con lo stesso capitale iniziale di 100.000 €, dopo ben 40 anni al tasso di IC medio annuo del +2%, si ottiene un montante finale di soli 220.800 €. Al contrario, con un tasso medio del +5% (ottenuto con efficientamento dei costi di gestione) il montante finale sarà di ben 704.000 €, vale a dire oltre il 300% maggiore!