Come evolve il montante contributivo a parità di contributi annuali versati, cambiando solo il tasso di capitalizzazione annuo? Esempio reale.
Consideriamo di versare lo stesso contributo annuo - diciamo 8.000 €/anno – corrispondenti ad un reddito complessivo lordo di circa 25.000 €/anno, per lo stesso periodo di 30 anni, ma con inizio della contribuzione in momenti diversi, quindi con diverso andamento del PIL italiano. E vediamo come evolve il montante contributivo totale, che, lo ricordiamo si rivaluta ogni anno in base al PIL (Prodotto Interno Lordo) italiano.
Caso 1 => Versamenti contributi dal 1980 al 2010:
Ogni anno, dal 1980 e fino al 1992, il PIL italiano cresceva ben oltre il 10%, con picchi di oltre il 20% annuo tra il 1980 ed il 1984. Di conseguenza, lo stesso faceva il tasso di rivalutazione annuo del montante contributivo dei “fortunati” lavoratori di quel periodo. Dopo quei primi 12 anni, il PIL è andato via via riducendosi, rimanendo comunque intorno al 4-5% annuo.
Caso 2 => Versamento contributi dal 1992 al 2022:
La situazione iniziale è ben diversa rispetto al caso 1 precedente. A partire dagli anni ’90, la crescita annuale del PIL si riduce progressivamente, poi si dimezza ed infine (dal 2011 in avanti) scende addirittura al di sotto dell’uno percento, arrivando ad un deprimente “zero virgola..”.
Di conseguenza, lo stesso fa anche il tasso di tasso di capitalizzazione annuo del montante contributivo.
Mettendo assieme tutti i dati dei due casi, si ottiene il grafico complessivo della crescita del montante contributivo nei due casi.
Questo grafico esprime con estrema chiarezza QUANTO diversi siano i montanti finali dopo 30 anni, per effetto del SOLO diverso tasso di rivalutazione annuo, dato che i contributi versati erano gli stessi in entrambi i casi.
Infatti, nel Caso 1 (dal 1980 al 2010) il lavoratore si ritroverà un montante finale di ben 907mila Euro, mentre nel Caso 2 (dal 1992 al 2022) si ritroverà solamente 360 mila Euro, cioè circa tre volte meno!
Per ottenere lo stesso montante contributivo finale del Caso 1, nel Caso 2 si sarebbero dovuti versare contributi per 20.000 €/anno circa, anziché 8.000 €/anno, cioè circa 2,5 volte superiori!
Questo risultato indica con grande chiarezza, quanto sia importante per l’importo dell’assegno pensionistico che il PIL italiano cresca in modo robusto nel medio-lungo termine.
Cosa che purtroppo invece non è quasi mai accaduta nell’ultimo ventennio, che ha visto invece la crescita del PIL allo “zero virgola”.E ciò avrà ricadute importanti (anche) per gli assegni delle pensioni di tutti coloro che hanno cominciato a lavorare dagli anni ‘90 in poi.
In questo quadro di mestizia finanziaria, la buona notizia è che si può agire per contrastare questo effetto negativo. E prima lo si fa, meglio è.
Il modo più efficace per farlo invece, dipende dalla propria situazione specifica.
Per questo ho creato per i miei Clienti l’area di Analisi e pianificazione Previdenziale, che è uno degli aspetti più importanti per la solidità, la sicurezza, quindi per la vita delle persone, di cui spesso si tende a sottovalutare l’impatto.
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