Che la situazione della previdenza pubblica INPS sia una vera “bomba sociale ad orologeria” è purtroppo ben noto, ed è un dato di fatto.
Negli ultimi 30 anni lo Stato italiano ha introdotto una serie di modifiche fortemente restrittive, rispetto alle norme previdenziali in vigore fino ai primi anni ‘90, tanto generose quanto finanziariamente insostenibili nel lungo termine.
Infatti, con la riforma Dini entrata in vigore nel 1996, il precedente metodo cosiddetto “retributivo” – che calcolava l’importo della pensione sulla base della retribuzione negli ultimi anni di lavoro - è stato rimpiazzato dal ben più restrittivo metodo “contributivo”, che invece calcola l’importo solo in base ai contributi previdenziali effettivamente versati durante tutta la vita lavorativa.
Nonostante ciò, ancora oggi moltissime persone in età lavorativa considerano il “problema pensione” solo per quanto riguarda il QUANDO – cioè l’età di pensionamento, ma non per il QUANTO - cioè l’ammontare dell’assegno pensionistico che andranno a percepire.
Ma se il QUANDO dipende in massima parte dalle leggi e normative esistenti, su cui poco si può fare, sul QUANTO si può intervenire anche in proprio, purché si agisca correttamente e per tempo.
In questo articolo analizziamo gli effetti (purtroppo negativi, lo “spoilero” subito) di uno dei fattori più significativi ma meno noti, tra quelli che concorrono alla definizione del QUANTO varrà il nostro futuro assegno pensionistico: la rivalutazione annua del montante contributivo versato, il cosiddetto “tasso di capitalizzazione” del montante.
Anzitutto, cos’è il montante contributivo? E’ molto semplicemente l’ammontare complessivo dei contributi previdenziali individuali, cumulati anno dopo anno per tutta la vita lavorativa, ed ogni anno rivalutati in base all’andamento del PIL (Prodotto Interno Lordo) italiano dei 5 anni precedenti.
Quindi il montante contributivo si rivaluta ogni anno in modo automatico, in base all’andamento del PIL italiano. Informazione importante? Direi proprio di sì.
Per capire perché è importante, facciamo un piccolo test:
Ipotizziamo di aver versato per 30 anni i nostri bei contributi. Ora ci chiediamo: cosa contribuisce maggiormente al montante totale accumulato, i contributi stessi versati, oppure il tasso di rivalutazione annuo del montante, cioè il tasso di capitalizzazione del montante? A prima vista, verrebbe facile rispondere “i contributi versati, ovviamente!” Eh. E invece.. dipende.
Vuoi sapere come va a finire? Allora continua a leggere la seconda parte dell’articolo, che trovi qui